C’è questo tipo strano, vedrai ti piacerà

Ancora una volta siamo stati troppo avanti: progettando il calendario dei nostri 20 anni (a dicembre 2020) avevamo pensato di celebrare oggi i 70 anni di Alberto Camerini, oltre che i 40 anni di Rock’n’Roll Robot, salita al numero 3 in hit parade nel 1981.

Ebbene, Rolling Stone Italia ci ha preceduto, con una notevole intervista a cui non ci resta che rimandarvi per scoprire la storia remota e recente del nostro Arlecchino elettronico.

Vi regaliamo comunque un video d’epoca meraviglioso. Palalido, 25 ottobre 1981: sul palco anche un altro giovane artista già affermato, che qualcuno definì “aristocratico del dissenso”. Altroché Milano da bere… Milano underground!

What a Feeling!

Curioso tributo alla siderurgia, alla danza e ai maglioni sbambolati (oggi si dice oversize), esce un po’ in sordina nell’aprile 1983, poi sbanca il botteghino e rilancia un genere cinematografico. Tra una saldatura e le prove di una coreografia, Flashdance fa volare la giovane Jennifer Beals, anche se in realtà a volare erano le sue controfigure… ma soprattutto una magnifica Irene Cara – pronuncia Airìn, mi raccomando – con un brano da Oscar, grazie allo zampino del signor Giorgio Moroder (uno che ne ha vinti tre, oltre ad inventare la disco music, va bè).

Take your passion / and make it happen

La bella Irene si era già distinta con Fame, altra colonna sonora danzereccia nonché degna conclusione del medley 80’s Dance Movies OttoEtti, completato da Physical – un video agghiacciante e memorabile, da “taglie forti” – di Olivia Newton-John, icona bionda che ha rilanciato gli anni ’50 con Grease, ancora una volta tra i must delle nostre serate.

Flashdance non risparmia una strizzata d’occhio all’Italia (ne abbiamo parlato a marzo) ma ha la sua vera apoteosi con Maniac: per Michael Sembello, l’occasione di una celebrità pop che non gli aveva mai sorriso, nonostante a 20 anni la sua chitarra fosse già sul capolavoro di Stevie Wonder, Songs in the Key of Life; per i nostri cantanti, l’occasione immancabile per prodezze ginniche sul palco.

…and she’s dancing like she’s never danced before…

Tutti poeti, noi del ’56

Nasce sotto la bandiera di Panama, è figlio di un torero e di Miss Italia 1947 e da piccolo gli girano per casa Picasso e Hemingway: si sente poeta, ma farà strada grazie alla voce e alla danza. Tutto comincia in Italia con un brano di Toto Cutugno che lo rivela alla platea internazionale… Olympic Games è l’inno non ufficiale delle Olimpiadi di Mosca (quelle dell’orsacchiotto Misha e del boicottaggio USA). Siamo nel 1980 e Miguel Bosé inizia a fare stragi di cuori, tra cui quello della nostra cantante – ahimè, non ha voluto concederci la foto che la ritrae infante mentre riproduce la posa della copertina di un suo 45 giri.

Bravi ragazzi siamo, amici miei…

Nel 1982 si affida alla coppia Maurizio Fabrizio/Guido Morra, freschi del trionfo a Sanremo un anno prima con Storie di Tutti i Giorni, e ci regala Bravi Ragazzi – un inno per giovani un po’ ribelli, ma sempre ben pettinati, che troneggia nelle scalette degli OttoEtti da una decina d’anni. (Per la visione dell’originale consigliamo un farmaco contro la nausea).

Dopo i fasti danzerecci di Super Superman, altro classico 8hg, Miguel si allontana un po’ dalle classifiche ma si aprono nuove strade: negli anni ’90 interpreta un giudice dalla doppia vita in Tacchi a Spillo di Pedro Almodóvar, quindi si dedica a un pop più raffinato, tornando poi a interpretare i suoi vecchi successi con big della musica latina come Shakira [alert: momento strappamutande], Ricky Martin e Laura Pausini, fino a ricomparire nei pressi di Maria de Filippi in tempi più recenti. Sempre con quella classe di chi tanti anni fa prendeva il tè con Pablo Picasso.

Scivola, Scivola, Scivola

È tuttora avvolto nel mistero il motivo per cui a chiunque imbracci una chitarra per la prima volta viene propinato il giro di Do. È però un fatto che, in migliaia di oratori d’Italia, tra i ’70 e gli ’80 moltitudini di giovanotti si siano cimentati con il Gatto e la Volpe. E spesso non siano progrediti oltre. In pochi avevano rivelato loro che, con la medesima armonia, avrebbero potuto suonare tantissime altre canzoni che popolavano le hit parade di quegli anni. 

Colui che elevò il giro di Do alla formula magica del romanticismo da classifica fu Umberto Tozzi da Torino. Ti amo e Tu hanno segnato la stagione 1977-78 e accompagnato il pomicio di milioni di innamorati. Intorno a questi brani, gli OttoEtti hanno costruito negli anni una mirabile architettura di medley: da Ricominciamo a Enola Gay, da Comprami a Sarà Perchè (…) ti Amo, cambiando l’ordine degli addendi l’effetto nostalgia resta invariato. 

Certo, limitare Umberto a un solo – e un po’ melenso – standard armonico è riduttivo: eternati nella storia del pop italiano ci sono brani molto più rockettari (del resto, Tozzi nasce chitarrista) come Stella Stai, una happy song che trova spazio ancora oggi nell’infinito revival di quegli anni, vedi l’ultimo film dell’Uomo Ragno (tutto vero).

A noi – e ai nostri fans – piace così

Forse la ricetta del successo di Tozzi è proprio in quei testi un po’ onirici, un po’ ironici e a volte un po’ criptici. Colorando il cielo del sud / chi viene fuori sei tu… Corpo a forma di “S” / dolce piede sul mio gas /quando vo, quando sto / per sospirarmi di più / per sospirarmi di blu.

Testi nel quale c’è sempre lo zampino di un certo Bigazzi – no, non quello della Prova del Cuoco – un signore che ha debuttato a Luglio (col bene che ti voglio), superando Montagne Verdi e approdando infine a Bella Stronza, nel frattempo vincendo Sanremo ricordandoci che Si Può Dare di Più, e trovando il tempo di dar vita ai gloriosi Squallor.

Gloria è senza dubbio la hit che ai nostri eroi ha dato più… fama, anche grazie alla versione inglese di Laura Branigan. Un brano passato in poco più di 40 anni dalle stelle (29 milioni di copie e primati di classifica internazionali, pure una piccola parte in Flashdance) alle stalle: ha fatto notizia l’uso (abuso) recentissimo da parte di un certo presidente americano – da cui Umberto si è prontamente dissociato.
Sic transit Gloria mundi.

Frustami: la vera storia

Siamo nei primi anni novanta, cassette pirata duplicate all’infinito stanno facendo la fortuna di artisti come Elio e le Storie Tese. Tra i banchi del liceo circola un motivetto: “Frustami, e dimmi che sono un porco”… Con altri compagni di scuola, cantante e batterista degli OttoEtti militano nella loro prima cover band.

Nel tempo libero, gli Odropiko Sound mettono insieme quattro magnifiche strofe: l’amore romantico prima si fa… litigarello, poi in un crescendo si svolta decisamente al sado-maso, fino al preoccupato ed accorato appello finale.

Audio esclusivo dal Live in Acquanegra sul Chiese 2008

Nei locali del mantovano, Frustami spopola grazie ai live degli Odropiko, e dopo qualche anno i ragazzi decidono di registrarla. Appuntamento a Gorgonzola (!) dove, grazie all’aiuto di una band bergamasca, parole e musica vengono eternate su nastro. La cassetta gira, gira e raggiunge fama imperitura come “stacchetto” CULT su Radio Deejay, per introdurre un ospite celebre (come si diceva allora) per la sua diversità.

Nel frattempo i ragazzi si assicurano la paternità della propria versione… mandandosi per posta la registrazione. E poi e poi negli anni a venire, Frustami nei mille piano bar del Lago di Garda, Frustami di Gianni Drudi (mah), e chi più ne ha più ne metta.

Fino all’inevitabile rilancio con gli OttoEtti. Nell’epoca eroica degli addii al nubilato, l’entusiasmo delle fans è arrivato al punto di mettere in pratica i versi del brano, per la gioia del cantante (e del pubblico in delirio)…